raccolte_intro

La raccolta di Francesco Lorenzo Pullé, composta da oggetti, fotografie e manoscritti acquistati in Vietnam, Sri Lanka e India tra il 1902 e il 1903, rappresenta il nucleo fondativo del Museo Indiano. Una prima esposizione di parte della collezione fu organizzata nel 1904, quando il Ministero della Pubblica Istruzione doveva ancora concludere l’acquisto della collezione, che sarebbe poi stata ripartita tra Comune e Università di Bologna. All’epoca della divisione, tuttavia, una cospicua parte della raccolta di oggetti rimase a Pullé e, tramite il lascito del figlio Giorgio, è ora conservata presso il Museo di Antropologia dell’Università di Padova. L’intera collezione composta durante il viaggio nel continente asiatico da Francesco Pullé, prevalentemente composta da manufatti indiani, si contraddistingue per l’interesse mostrato non soltanto nei confronti dell’arte rituale, ma anche per la scelta di materiali che appartengono all’ambito delle arti decorative, nel tempo scomparsi dalle esposizioni dei grandi musei, benché all’inizio del Novecento trovassero ampio spazio negli stessi contesti.

L’idea di creare un museo indiano era già stata messa in pratica dal maestro di Pullé nello studio del sanscrito, Angelo De Gubernatis. Anch’egli, infatti, dopo un lungo viaggio in India ebbe modo di organizzare il Museo Indiano di Firenze, il cui patrimonio dopo pochi anni fu aggiunto alla collezione del Museo di Antropologia ed Etnologia della stessa città, dove già era depositata una raccolta di materiali di provenienza indiana appartenuta all’antropologo Paolo Mantegazza. La storia dell’interesse riguardo all’India sorto a Firenze nella seconda parte dell’Ottocento è stata ben raccontata in un volume di Filipa Lowndes Vicente, in cui troviamo citato Pullé fin dalla prima esposizione di materiali indiani organizzata in Italia in ambito orientalistico, peraltro da De Gubernatis e a Firenze, nel 1878, ancor prima che fosse aperto il suo Museo. La città toscana ospitò infatti quell’anno l’edizione del Congresso Internazionale degli Orientalisti, durante la quale furono messi in mostra reperti archeologici provenienti principalmente da scavi effettuati da W. G. Leitner nell’attuale Pakistan, tramite i quali erano stati recuperati ingenti quantitativi di reperti relativi all’arte buddhista del Gandhara. L’attenzione di Pullé per documentare la fioritura e la diffusione del buddhismo in Asia è dimostrata anche grazie alla cospicua raccolta di fotografie, molte delle quali erano esposte nella sala dedicata all’Architettura e Scultura, dove compariva il frammento architettonico di epoca Shunga (II sec. a. C.) con cui si apre questa sezione e una significativa raccolta di immagini di arte del Gandhara, che sembra poter dimostrare la continuità dell’attenzione di Pullé nel conoscere il pensiero indiano attraverso testimonianze non soltanto linguistiche, ma anche archeologiche ed etnografiche. In riferimento all’archeologia, infatti, bisogna ricordare che Francesco Pullé era stato nominato presidente del comitato italiano dell’Indian Exploration Fund pochi anni prima del suo viaggio in Asia, quando ancora appariva possibile collaborare con le autorità coloniali britanniche in India al recupero di materiali archeologici, obiettivo frustrato dall’evolversi delle politiche coloniali inglesi in ambito culturale (vedi anche: Lettere// 5).