
La sala, in precedenza destinata alle Arti Figurative, raccoglie pregevoli testimonianze dell’artigianato artistico indiano. Come si è potuto appurare nella nuova disposizione delle stanze dedicate alla Storia delle religioni asiatiche, le destinazioni d’uso di alcuni ambienti mutarono durante l’attività del Museo Indiano. Se la Camera Indiana sostituì infatti la sala dedicata alle Arti Figurative, almeno come denominazione, la stanza successiva, inizialmente riservata all’Etnografia, in seguito fu definita da Pullé Sala Cinese o del Trono. Nel secondo caso, furono senz’altro le acquisizioni successive all’apertura del Museo a indirizzare la scelta del fondatore, mentre è assai probabile che fin dal principio, la Camera Indiana proponesse ai visitatori gli stessi oggetti che troviamo esemplificati nella galleria, raccolti da Pullé durante il suo viaggio nel subcontinente indiano del 1902, come sembrano dimostrare, oltre agli oggetti, alcune fotografie conservate nella raccolta fotografica del Museo.
Oggetti simili trovavano posto in gran parte dei musei europei che ospitavano collezioni di materiali indiani, in ragione della prospettiva scelta per descrivere la cultura del Paese asiatico. L’impostazione museale corrente, infatti, mostrava l’influenza delle grandi Esposizioni Internazionali, che oggi usiamo chiamare EXPO e che ebbero origine a metà del diciannovesimo secolo. All’epoca molti musei, specie in Gran Bretagna e nell’India britannica, di conseguenza, partecipavano alla formazione degli artigiani e degli artisti per il tramite di scuole d’arte inserite nel contesto dei musei stessi. Gli oggetti esposti nella Camera Indiana, oltre a mostrare le tecniche in uso in India, rimandano effettivamente alle abitudini indiane, grazie all’esposizione di oggetti di uso comune che rappresentano il gusto dell’epoca riferito all’artigianato artistico da esportazione.
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